C’è molta confusione per quel che riguarda l’aspetto burocratico del BIM in Italia, per questo abbiamo chiesto agli avvocati Rosamaria Berloco e Andrea di Leo di Legal Team di raccontarci il BIM all’interno della normativa italiana.
Cos’è il BIM, che finalità persegue e come nasce
Negli ultimi anni, giuristi e architetti, progettisti e costruttori edili sono stati catapultati in questa nuova realtà destinata a rinnovare il settore edile, architettonico e infrastrutturale italiano, con particolar riferimento a quello pubblico: il BIM.
Innanzitutto, è necessario definire in che cosa consiste il BIM. L’acronimo di Building Information Modeling vuole identificare un metodo integrato di progettazione, basato sull’utilizzo di una pluralità di software. Non un programma, un hardware o un software bensì una metodologia di progettazione. La sua potenzialità risiede nella possibilità di raccogliere, unificare e combinare l’insieme dei dati inerenti a pianificazione e progettazione dell’edificio.
Si rende pronto e agevole non solo il confronto ma anche la conservazione dei dati inerenti all’intero ciclo vita di un edificio. La metodologia BIM, infatti, permette di raccogliere, ordinare e confrontare tra di loro un’ampia gamma di dati inerenti all’intero ciclo vita di un edificio. Ad esempio, i dati geo-spaziali, meccanici, elettrici, finanziari, legali, e anche le specifiche di materiali come la valutazione energetica e ambientale. La condivisione istantanea e costantemente aggiornata dei dati mette in contatto un largo numero di categorie professionali e crea una piattaforma multidisciplinare di condivisione per la gestione dei lavori, specialmente quelli di grosse dimensioni.
Si deduce come l’utilizzo del BIM permetta il capillare controllo durante la progettazione di un edificio in tutte le sue fasi così da ridurre e prevenire gli errori anche in fase di esecuzione attraverso un rigido controllo del modello precedente. E per tali motivi è destinato a stravolgere il settore degli appalti pubblici italiani.
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Il BIM nella legislazione unionale
Come anticipato, la metodologia BIM acquisisce un rilievo di non poco conto nella gestione delle commesse pubbliche italiane dove la sua introduzione non può che comportare una crescita culturale e tecnologica che investirà tutto il Paese.
Ma quando il BIM è entrato nello scenario normativo italiano?
Benché le prime teorizzazioni e applicazioni pratiche siano risalenti al 1987 – ricavate grazie all’utilizzo di ARCHICAD – la necessità di trasporre questa metodologia innovativa è stata avvertita in primo luogo a livello comunitario, con la direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 2014/24/CE del 26 febbraio 2014.
Già dalla lettura dei Considerando (cfr. nn. 47 e 52) emerge la volontà del legislatore europeo di rendere gli appalti pubblici terreno fertile per l’innovazione tecnologica anche a beneficio della necessità di efficacia e trasparenza, principi corollari delle procedure ad evidenza pubblica. Prosegue, sempre in coerenza con gli obiettivi precedentemente citati, nell’introdurre all’art. 22, dedicato alle regole applicabili alle comunicazioni, la possibilità per le Stazioni appaltati di richiedere l’uso di strumenti elettronici specifici come quelli per la simulazione elettronica per le informazioni edilizie o strumenti analoghi. Questo giro di parole altro non è che la metodologia BIM.
Il BIM nel Codice dei contratti pubblici
Sul solco del forte spirito innovativo della disciplina europea, l’attuale Codice dei contratti pubblici, d.lgs. 50/2016, riproduce un atteggiamento di apertura all’introduzione di nuove metodologie.
E dunque, all’art. 23 – rubricato “Livelli di progettazione per gli appalti, per le concessioni di lavori nonché per i servizi” – è riconosciuta alle Stazioni appaltanti la facoltà di richiedere l’utilizzo di “metodi e strumenti elettrici specifici al fine di razionalizzare le attività di progettazione delle connesse verifiche modellazione per l’edilizia e le infrastrutture” sia per la costruzione di nuove opere che per interventi di recupero, riqualificazione o varianti, prioritariamente per i lavori complessi.
A tutela della concorrenza tra i fornitori di prodotti elettronici e degli operatori economici in tale ambito, è espressamente previsto che tali strumenti possano utilizzare piattaforme interoperabili a mezzo di formati aperti “non proprietari, al fine di non limitare la concorrenza tra i fornitori di tecnologie e il coinvolgimento di specifiche progettualità tra i progettisti, purché le stesse stazioni appaltanti siano fornite di personale adeguatamente formato”.
A tal fine, si è deciso di demandare a un successivo decreto la modulazione di “modalità e i tempi di progressiva introduzione dell’obbligatorietà’ dei suddetti metodi presso le stazioni appaltanti, le amministrazioni concedenti e gli operatori economici, valutata in relazione alla tipologia delle opere da affidare e della strategia di digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche e del settore delle costruzioni”.
Prima di giungere allo specifico esame della disciplina dettata dal Decreto BIM – cuore pulsante della disciplina – non si può prescindere dall’analisi del decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 7.03.2018 n. 49, recante «Approvazione delle linee guida sulle modalità di svolgimento delle funzioni del direttore dei lavori e del direttore dell’esecuzione».
Anche in questo atto viene ribadita la necessità di tutela della concorrenza disciplinata nel primo, ove viene specificato che gli strumenti utilizzati “devono essere in grado di garantire l’autenticità, la sicurezza dei dati inseriti e la provenienza degli stessi dai soggetti competenti”.
Decreto BIM
Tuttavia il cuore della materia risiede nelle disposizioni di cui al d.M. 560 del 1.12.2017, emanato in attuazione del citato comma 13 dell’art. 23 del Codice dei contratti pubblici. In questo sono definite le condizioni e i tempi della progressiva introduzione obbligatoria da parte delle Stazioni appaltanti, delle Amministrazioni concedenti e degli operatori economici, dei metodi e degli strumenti elettronici specifici, quali quelli di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture, nelle fasi di progettazione, costruzione e gestione delle opere e relative verifiche.
In altre parole, l’emanazione di tale decreto ha reso effettivamente operativa la metodologia BIM all’interno della legislazione nazionale. Di fatti, ciò che maggiormente porterà all’evoluzione normativa è il progressivo adattamento da parte della Pubblica amministrazione, la vera sfida del sistema.
L’inserimento è graduale e scandito secondo le seguenti tempistiche suddivise in base agli importi a base d’asta:
- per i lavori complessi relativi a opere di importo a base di gara pari o superiore a 100 milioni €, a decorrere dal 1 gennaio 2019;
- per i lavori complessi relativi a opere di importo a base di gara pari o superiore a 50 milioni €, a decorrere dal 1 gennaio 2020;
- per i lavori complessi relativi a opere di importo a base di gara pari o superiore a 15 milioni €, a decorrere dal 1 gennaio 2021;
- per le opere di importo a base di gara pari o superiore alla soglia di cui all'articolo 35 del codice dei contratti pubblici, a decorrere dal 1 gennaio 2022;
- per le opere di importo a base di gara pari o superiore a 1 milione €, a decorrere dal 1 gennaio 2023;
- per le opere di importo a base di gara inferiore a 1 milione €, a decorrere dal 1 gennaio 2025.
Sebbene il d.l. n. 32/2019 convertito in legge n. 55 del 14.6.2019 – noto anche come “Sblocca Cantieri” – preveda il ritorno ad un regolamento unico recante le disposizioni di esecuzioni, attuazione ed integrazione del Codice appalti, tale da sostituire i decreti attuativi esistenti ed individuati dall’art. 216, comma 27-octies, il decreto BIM rimane escluso dal novero delle abrogazioni e perciò rimarrebbe in vigore anche a seguito del regolamento.
Nonostante il citato decreto sia entrato in vigore solo il 16.12.2017, è riconosciuta in capo alle Stazioni appaltanti la facoltà di impiegare i metodi e gli strumenti elettronici specifici alle varianti riguardanti progetti di opere relativi a bandi di gara pubblicati prima dell’entrata in vigore dello stesso decreto.
L’esame delle disposizioni contenute nel d.M. 560/2017 evidenzia l’approccio generalistico adottato dal legislatore, dal momento che si è optato per una regolamentazione di principi senza approfondire gli aspetti tecnici. Tale approccio “a-tecnico” lo differenzia dalla normativa UNI11337:2017, concernente la gestione di processi informativi delle costruzioni, a sua volta molto più specifica.
Primariamente, è rimessa alla valutazione delle singole Pubbliche amministrazioni l’imposizione di un c.d. ambiente di condivisione dei dati o, in alternativa, se delegare tale scelta alle controparti.
Ma cosa si intende per ambiente di condivisione dei dati? Questo è tanto una piattaforma virtuale di raccolta di dati come anche un meccanismo di elaborazione dei contenuti stessi. Stante la essenzialità del ruolo svolto, la condivisione del c.d. ACDat deve necessariamente essere regolata attraverso la definizione delle responsabilità nell’elaborazione dei contenuti informativi e di tutela della proprietà intellettuale. Ad oggi, ancora oscura è la disciplina delle nuove figure professionali ad esse deputate nonché i profili di responsabilità degli operatori interessati.
Inoltre, il Decreto BIM si occupa di ampliare la definizione di “lavori complessi” contenuta all’art. 3, co 1, lett. e) del d.lgs. 50/2016: vengono definiti tali quelli caratterizzati
- da un elevato contenuto tecnologico;
- con una significativa interconnessione degli aspetti architettonici, strutturali e tecnologici ovvero con rilevanti difficoltà realizzative dal punto di vista impiantistico;
- da un elevato livello di conoscenza finalizzata principalmente a mitigare il rischio di allungamento dei tempi contrattuali e/o il superamento dei costi previsti, oltre alla tutela della salute dei lavoratori coinvolti;
- da esigenze particolarmente accentuate di coordinamento e di collaborazione tra le diverse discipline.
Come anticipato, all’art. 3 viene ribadita la necessità – già contenuta nel Codice dei contratti pubblici – che le Stazioni appaltanti siano fornite degli strumenti necessari e imprescindibili come anche di un personale adeguatamente formato per l’espletamento di questo incarico. A tal fine è prescritto un piano di formazione del personale interno alla P.A., un piano di acquisizione o di manutenzione di supporti hardware e software adeguati finalizzato ad assicurare l’adeguatezza degli strumenti impiegati nel tempo nonché un atto organizzativo che regoli il processo di controllo e gestione dei dati, del gestore dei dati nonché degli ipotetici conflitti.
In coerenza con il Codice dei contratti pubblici, l’uso della metodologia BIM deve essere tale da non imporre ai partecipanti al progetto l’uso esclusivo di determinate applicazioni tecnologiche commerciali individuate e specifiche. Di conseguenza, la Stazione appaltante dovrà impiegare delle piattaforme interoperabili a mezzo di formati aperti non proprietari.
L’imposizione è volta tanto a garantire la fruibilità dei dati contenuti nella piattaforma a tutti i partecipanti tanto a garantire il rispetto dei principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità. I formati aperti e non proprietari devono necessariamente essere normati e controllati nella loro evoluzione tecnica da organismi indipendenti, fatta salva la loro eventuale regolamentazione nell’ambito delle specifiche tecniche ai sensi dell’art. 68 d.lgs. 50/2016, ove è resa necessaria – in caso di precipua individuazione – la clausola di equivalenza.
Il punto cardine della metodologia BIM, come più volte ribadito, è di fatti l’interoperabilità, che si traduce in collaborazione, coordinamento, comunicazione tra i diversi attori per tutte le fasi del ciclo di vita di una costruzione.
Il documento attraverso cui si snoda l’intero processo è il Capitolato Informativo, in cui le singole P.A.: esprimono le proprie esigenze di gestione informativa a cui l’appaltatore è chiamato a rispondere attraverso una riorganizzazione dei propri processi operativi. In esso saranno definiti i requisiti informativi strategici generali e specifici, gli elementi utili alla individuazione dei requisiti di produzione, gestione e trasmissione e archiviazione dei dati, le informazioni inerenti allo stato iniziale dei luoghi e delle opere preesistenti. Sebbene non aggiornato dalle Linee Guida n. 1, il capitolato dovrà soddisfare gli standard di accessibilità, tracciabilità e successione storica delle revisione, supporto di una vasta gamma di tipologie e formati, facilità di accesso, conservazione e aggiornamento nel tempo e garanzia di riservatezza e sicurezza.
In conclusione, si evidenzia come il capitolato informativo costituisca l’atto propedeutico e indispensabile alla redazione di un’offerta per la Gestione Informativa (oGI) – formato dagli oo.ee. concorrenti - in fase di gara (pre-contract BIM Execution Plan), in cui il concorrente, rispondendo ad ogni specifica sezione del Capitolato Informativo, descrive come intende garantire la rispondenza a quanto richiesto dalla Stazione appaltante. In caso di aggiudicazione, l’affidatario revisionerà, consoliderà e renderà esecutivo quanto offerto nell’oGI trasformandolo in un piano di Gestione Informativa (pGI), anche denominato BIM Execution Plan (BEP), concordato con la Committente ed elaborato dall’affidatario.
Alla luce di questa breve disamina circa la metodologia BIM, non resta che assistere agli ulteriori step di adeguamento che il legislatore vorrà porre in essere e come le Stazioni appaltanti recepiranno le novità. L’innovazione è vicina?