Nella valutazione delle performance (energetiche e non) di un edificio prevale ancora un approccio prescrittivo rispetto a quello prestazionale. Si tende cioè a progettare in modo da soddisfare le norme anziché con l'obiettivo di ottenere le migliori performance.
In questo articolo vediamo come possiamo garantire al committente la miglior soluzione possibile: un salto di qualità decisivo nel modo in cui concepiamo la progettazione.
In passato, i progettisti dovevano essere in grado di interpretare i desideri, a volte impliciti, del cliente; oggi invece la committenza è più attrezzata, il cliente ha accesso a molte più informazioni rispetto al passato e ha un’idea molto più chiara di cosa vuole.
Cambiano anche le esigenze. Se in passato era sufficiente costruire un immobile per essere certi di avere un ritorno economico, questo oggi non è più sufficiente perché è alto il rischio che i beni rimangano, come si dice, sul groppone. I clienti privati non possono più contare sulla valorizzazione del bene vita natural durante. Gli istituti di credito erogano i mutui in cambio di garanzie certe e perciò bisogna saper considerare più concretamente quanto le spese generali e l’obsolescenza incidono sulla sua rivalutazione (per approfondire l'argomento puoi leggere l'articolo sul Facility Management con il BIM).
In poche parole, è necessario stabilire degli obiettivi prestazionali che influiscano positivamente sulla buona riuscita dell’operazione e poter misurare le performance verificando che coincidano con gli obiettivi stabiliti.
Nella progettazione, e in particolare nel BIM, i requisiti del committente svolgono un ruolo primario all’interno della commessa, tanto da costituire il primo vero atto progettuale.
La norma ISO 19650 (in proposito puoi leggere gli articoli dedicati alla parte 1 e parte 2) stabilisce una gerarchia dei requisiti d’interscambio. Essi partono dalla definizione di uno o più obiettivi e vengono poi caratterizzati in una serie di requisiti misurabili e verificabili.
L’obiettivo “velocizzare le vendite dell’immobile” è attuabile attraverso una strategia di riduzione dei costi di esercizio e manutenzione che comportano l’ottenimento di una classe energetica alta e il contemporaneo miglioramento delle condizioni microclimatiche indoor.
Qualcuno potrà obiettare che le certificazioni energetiche si fanno da oltre dieci anni e che i rapporti aeroluminanti sono verificati da sempre. Ma se un conto è rispettare un vincolo normativo, un altro è invece individuare le soluzioni che per quello specifico contesto sono in grado di portare un effettivo miglioramento delle performance.
Assistiamo al passaggio da un approccio di tipo prescrittivo a uno di tipo prestazionale. Secondo l’approccio prescrittivo, è necessario attenersi ai valori indicati nella norma a prescindere dalla loro effettiva efficacia.
La norma UNI 10380-1994, ad esempio, prescriveva i valori minimi di illuminamento per ogni attività: per una lavagna a scuola erano necessari dai 300 ai 750 lumen, corrispondenti a corpi illuminanti da circa 800 watt totali (100 se luce a LED). Ma questa norma non tiene in considerazione le condizioni contestuali quali l’illuminazione naturale, il colore degli ambienti, la riflessione delle superfici, ecc. e il modo in cui tutti questi fattori interagiscono e fra loro e influenzano l’illuminazione dell’ambiente.
La norma UNI 12464 – 1:2011, invece, non fornisce soluzioni specifiche o valori tabellari da applicare, ma esplicita che il progettista può e deve adottare l’insieme di soluzioni in grado di soddisfare al meglio i requisiti esplicitati. Qual è la differenza? Valutare la combinazione di luce naturale e artificiale permette di ridurre il numero e la potenza dei corpi illuminanti e al contempo di migliorare la qualità della luce sfruttando, con alcuni accorgimenti progettuali, il contributo della luce naturale e il suo ombreggiamento, in quello che viene definito come “Daylight harvesting” (raccolta della luce diurna).
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Per quanto riguarda il risparmio energetico, benché le certificazioni siano uno strumento impiegato già da anni, prevale ancora un approccio prescrittivo. Il progettista definisce l’involucro e chiede al termotecnico di “farlo rientrare in Classe A”; poco importa se dovrà utilizzare dei vetri basso emissivi o un impianto di ventilazione meccanica controllata inizialmente non previsto.
L’approccio prestazionale considera invece le scelte progettuali come il primo accorgimento in materia di risparmio energetico. Perciò, ad esempio, punteremo a posizionare le aperture in maniera ottimale rispetto all’orientamento e al soleggiamento, a differenziare il cappotto termico, ecc., in modo da aumentare le prestazioni solo dove è necessario e risparmiare altrove.
Anni fa, nello studio per il quale lavoravo, realizzammo un bellissimo edificio in classe A+. Ma in una stanza del primo piano, totalmente esposta a Sud, faceva effettivamente caldo nonostante fosse in funzione il sistema di raffrescamento / deumidificazione. L’applicazione puntuale della norma non è stata sufficiente a evitare questo disagio.
Ci sono due principali ordini di vantaggi nell'adottare un approccio prestazionale per la valutazione delle performance:
Un terzo vantaggio, conseguenza dei precedenti, è che i suddetti miglioramenti comportano la maggior valorizzazione del bene immobile, riducono i tempi di sfitto, velocizzano l’ammortamento delle spese sostenute, ecc. In poche parole rendono l’investimento più sicuro e redditizio.
In passato solo i grandi studi di progettazione potevano permettersi l’approccio di tipo prestazionale, dato che era necessario costruire dei prototipi da sottoporre a prove di laboratorio di tipo strutturale, illuminotecnico, energetico, ecc.
Renzo Piano in ogni sua opera è stato in grado di perseguire un obiettivo di tipo prestazionale attraverso lo sviluppo di componenti studiati ad hoc che dovevano essere sottoposti a verifiche puntuali.
Oggi la tecnologia digitale ci permette di operare delle simulazioni delle performance senza dover ricorrere a prototipi e prove di laboratorio. Questo ha portato alla nascita di una nuova disciplina, la Building Performance Simulation (BPS): ovvero, "la replica di aspetti delle performance di un edificio attraverso l’uso di modelli matematici ricreati al Computer basati sui principi fondamentali della fisica".
L'obiettivo della BPS è quantificare le performance rilevanti per la Progettazione, la Costruzione e la Gestione dell’edificio.
Le discipline che fanno capo alla BPS sono:
Rispetto al passato, oggi puoi condurre tutte queste analisi e misurazioni di performance dal tuo ufficio, sul tuo pc, attraverso i software di analisi.
Le scelte progettuali non dipendono soltanto dalle scelte estetiche: si sviluppa una soluzione, se ne misurano le prestazioni e si valuta in questo modo quanto quella particolare conformazione progettuale contribuisce al raggiungimento di obiettivi di performance, e quindi se mantenerla o valutarne un’altra. Per individuare la migliore scelta fra tutte le possibili a disposizione bisogna quindi procedere un po’ per tentativi, con il rischio però di tralasciare altre soluzioni che potrebbero essere migliori rispetto a quella adottata.
Da qualche tempo si è imposto un metodo che si basa sull’impiego dei cosiddetti “solutori genetici”, o “algoritmi genetici”. Non facciamoci intimorire dal termine, è più semplice di quanto sembri: in pratica, il metodo consiste nel realizzare un modello semplificato che rappresenta l’involucro edilizio e poi sottoporlo a un'analisi obiettivo, sia questa di tipo energetico, illuminotecnico o altro.
Facciamo un esempio. Ci interessa valutare la forma che più di ogni altra sia in grado di captare il massimo della radiazione solare termica (oppure, l’obiettivo potrebbe essere invece la minimizzazione della radiazione termica, nel caso si stia studiando un sistema di ombreggiamento). Una volta definiti gli obiettivi, il progettista determinerà i vincoli e i parametri che definiscono la forma, ad esempio le dimensioni di ogni lato del solido con valori compresi in un campo.
Consideriamo un semplice parallelepipedo con misure di ogni lato che vanno da 1 a 10 (metri o chilometri, poco importa). Le soluzioni possibili sono quindi 103 (10 x 10 x 10) mentre per una forma più complessa le soluzioni possibili possono arrivare nell’ordine delle 1010 (una soluzione possibile fra 10 miliardi di alternative!). In realtà, il software non è in grado di individuare un’unica soluzione, ma restringe il campo a un insieme molto ristretto di soluzioni simili fra loro.
È proprio il caso di dire che la forma segue la funzione, ma ciò non significa che la forma sia divenuto un fattore a totale discrezione del software di calcolo. Anzi, essa scaturisce da una delle configurazioni possibili fra le diverse impostate dal progettista.
Attraverso la BPS siamo in grado di anticipare non soltanto le incongruenze progettuali e prevedere le problematiche di cantiere, ma possiamo fare una previsione certa sul comportamento del manufatto di progetto e i suoi consumi nel tempo.
Poter garantire al committente la miglior soluzione possibile costituisce un salto di qualità decisivo nel modo in cui concepiamo la progettazione oggi e un vantaggio competitivo verso chi è ancora legato al tradizionale approccio prescrittivo.
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