Il BIM costituisce una delle possibili virtualizzazioni della realtà, esistenti o di progetto: tramite il rilievo possiamo acquisire un’istantanea dello stato di fatto degli spazi o degli oggetti che verranno successivamente tramutati in entità digitali modificabili.
Con l’ausilio della manifattura digitale, detta Digital Fabrication, siamo in grado di percorrere il processo in maniera inversa: è la chiusura del cerchio, dal reale al virtuale e viceversa. La Digital Fabrication è, infatti, il processo attraverso cui è possibile creare oggetti solidi e tridimensionali partendo da disegni digitali.
In questo articolo ne illustreremo i concetti e principi, fornendo cenni storici e una panoramica sulle principali tecniche e strumentazioni impiegate. Nel prossimo articolo entreremo nel merito di alcuni dei più comuni workflow nel mondo delle costruzioni fra BIM, progettazione algoritmica e manifattura digitale.
Lo strumento precursore della rivoluzione manifatturiera digitale, per qualcuno comparabile a ciò che fu la macchina a vapore per la rivoluzione industriale, è la stampante 3D.
Il primo modello risale al 1986 con il deposito del brevetto da parte di Chuck Hull dei dispositivi di stereolitografia e del formato STL, ancora oggi impiegato per mettere in comunicazione le stampanti con i sistemi CAD/CAM. Da allora le stampanti 3D vivono un’evoluzione rapida e inarrestabile, alla costante ricerca di nuove tecniche e l’impiego di materiali sempre più prestanti.
Quando nel 2009 è scaduto il brevetto delle stampanti FDM, il loro costo è divenuto più accessibile, diventando un bene di consumo diffuso adatto all’impiego casalingo.
Ma la Digital Fabrication non si esaurisce con l’impiego delle sole stampanti 3D: altre tecniche e strumentazioni concorrono a definire una disciplina di più ampio respiro con diverse e svariate implicazioni, impensabili fino a pochi anni fa.
Il concetto di Fab Lab (Fabrication Laboratory) nasce nel 2001 durante il corso “How to make (almost) anything” del professor Neil Gershenfeld del MIT di Boston, con lo scopo di scambiare l’informazione necessaria a produrre un bene e non il bene stesso. Si apre così la strada a nuovi metodi di collaborazione diffusa e produzione a distanza.
I Fab Lab sono piccole officine produttive estremamente flessibili che, seppur non possano competere con l’economia di scala della fabbrica, hanno il grande merito di poter produrre pressoché qualsiasi oggetto, venendo incontro alle esigenze degli utenti in maniera flessibile. Il primo Fab Lab al di fuori dell’ambito accademico nasce in India nel 2002 ma oggi sono una realtà molto diffusa e in continua espansione.
Qualcuno ha preconizzato un ritorno a una sorta di artigianato digitale, in contrapposizione alla produzione di massa: non grandi impianti centralizzati ma una sorta di fabbrica diffusa nel territorio. Il fenomeno dei Fab Lab è spesso associato all’innovazione collaborativa e alla cultura open source, intesi come opportunità di crescita tecnologica emergente dal basso.
Esistono siti in cui gli utenti rendono disponibili in maniera libera i propri modelli 3D per produrre in proprio gli oggetti condivisi. Anni fa cominciò a diffondersi il modello 3D per stampare una propria pistola funzionante con una comune stampante FDM domestica. Le autorità statunitensi si sono attivate ben presto per ritirare dalla rete ogni copia del file. Non è un esempio molto virtuoso, ma da ciò possiamo comprendere il potenziale della tecnologia manifatturiera digitale.
Thingiverse.com, un repository di modelli per la stampa resi disponibili gratuitamente dagli stessi utenti
Realisticamente siamo ancora distanti da un radicale cambio di paradigma, ma è certo che stiamo già assistendo a un progressivo e inesorabile affiancamento dei nuovi metodi ai sistemi produttivi tradizionali.
Quali sono gli strumenti che generalmente vengono impiegati nei Fab Lab? Ne distinguiamo due tipologie:
I dispositivi di produzione additiva sono essenzialmente le stampanti 3D. Queste ricevono le informazioni attraverso un file STL che il software della stampante converte nel G-CODE, una sequenza di coordinate che definiscono dei poligoni chiusi disposti per strati: la macchina seguirà la sagoma di ogni singolo strato per depositare il materiale fino a comporre il solido desiderato.
Maggiore la risoluzione, e quindi minore l’altezza degli strati (nell’ordine dei 0,1 – 0,2 mm), maggiore sarà la qualità a discapito però della velocità. Questa operazione è nota come slicing, perché in effetti il modello viene "affettato".
Le stampanti 3D si distinguono a loro volta in:
Un materiale polimerico (generalmente ABS, PLA o Nylon) viene fuso e lo strato di materiale viene depositato seguendo la sagoma dello strato fino a definire, un sottile layer alla volta, la forma desiderata.
È il tipo di stampante 3D più comune (perché più economica) ma i tempi di lavorazione sono piuttosto lunghi e la qualità non molto elevata poiché si notano le caratteristiche strisce degli strati. Inoltre, non è possibile ottenere elementi a sbalzo costruiti sul vuoto, anche se in alcuni casi vengono generati dei supporti provvisori che sarà poi possibile rimuovere a stampa conclusa.
Nel caso della copertura a falde di un modellino di casa, ad esempio, sarà opportuno stamparla come pezzo a parte girandola in verticale. Il software della stampante generalmente riconosce quando è conveniente ruotare il verso della stampa e procede automaticamente a orientarla per ottimizzare le prestazioni della macchina. Le parti piene verranno automaticamente riempite con l'infill, una trama reticolare o alveolare per dare consistenza all’insieme senza riempire del tutto le forme.
Alcune macchine sono dotate di un doppio ugello per poter utilizzare due materiali distinti, uno dei quali solvibile nell’acetone o nel limonene (comune succo di limone) che può essere usato come supporto e/o riempimento. Una volta terminato, il pezzo può essere immerso in questa soluzione e le parti di sostegno si dissolveranno senza lasciare residui.
Un laser scalda fino a provocare la cristallizzazione del materiale polimerico presente sotto forma di polvere. L’eccesso di polvere viene poi rimosso fino a lasciare la forma desiderata in un pezzo unico.
Il grande vantaggio di questa tipologia di stampante 3D è che la polvere non ancora solidificata costituisce un supporto naturale per le forme ottenute. Quindi è possibile ottenere forme particolarmente sottili e complesse. Inoltre, le prestazioni dei materiali impiegati sono molto superiori rispetto alle tecniche FDM, perché questi non devono essere prima fusi poi estrusi e infine solidificati ma vengono solidificati direttamente, conferendo maggiore rigidità all’insieme.
Questa tecnica è quella maggiormente impiegata negli stabilimenti industriali per la produzione di parti che oggi cominciano in alcuni casi a essere competitivi anche rispetto alle tecniche di stampaggio. Di contro, i costi sono ancora piuttosto elevati e l’ingombro del dispositivo è tale da renderlo idoneo soltanto per usi professionali e industriali.
È la prima tipologia di stampante (ideata da Chuck Hull). Un fascio di luce ultravioletta proiettata con la sagoma dello strato sinterizza il polimero liquido fino a provocarne l’indurimento: procedendo strato dopo strato si ottiene una figura di alta qualità in tempi piuttosto rapidi. Il limite di questa tecnologia è il costo del macchinario e le dimensioni ridotte degli oggetti.
La stereolitografia è a sua volta distinta in due tecniche:
Fra i dispositivi a produzione additiva ricordiamo anche le postazioni di saldatura CMT, delle braccia meccaniche che depositano il metallo fuso.
I dispositivi a produzione sottrattiva sono macchine che tagliano, incidono, fresano il materiale, sia questo metallo, pietra, legno, ecc. Fanno la loro prima comparsa negli anni ’40 negli stabilimenti industriali, conosciute come macchine CN, a Controllo Numerico.
Le attuali macchine sono note invece come macchine CNC, Controllo Numerico Computerizzato, perché sono dirette da un computer esterno e non dal macchinario stesso.
In questo campo esistono tre tipologie di macchine:
A loro volta, queste possono distinguersi per il tipo di utensile da taglio, sia questo un mandrino rotante a cui si applicano diverse punte, un fascio laser o l’idropressione per il taglio della pietra. Le macchine CNC hanno di base tre gradi di libertà della punta, vale a dire le direzioni X, Y e Z. I pantografi solitamente hanno soltanto due gradi di libertà, X e Y, anche se in alcuni casi è possibile regolare la profondità (e quindi in parte anche la direzione Z) per ottenere l’incisione anziché il taglio del pezzo.
Alcuni tipi di fresatrice consentono anche la rotazione della punta nello spazio per ottenere lavorazioni ben più accurate: si parla quindi di fresatrici a tre, quattro e cinque assi (le direzioni X, Y, Z e uno o due gradi di rotazione).
Lo spirito dei makers, come nel gergo vengono chiamati gli artigiani digitali, non si limita a produrre oggetti inanimati ma si spinge oltre, verso la loro automazione e interazione con l’ambiente.
Gli oggetti prodotti con le tecniche sopra illustrate possono essere animati tramite degli attuatori hardware. Il più noto e diffuso è la scheda Arduino: una scheda elettronica per realizzare dei piccoli controllori di luce, di movimento, di suono, ecc. Le schede Arduino possono essere collegate a dei sensori, dei display e degli attuatori e sono completamente programmabili dall’utente su qualsiasi sistema operativo.
Sono pensate per l’uso domestico, a scopo didattico e dimostrativo. Sebbene sia nata come dispositivo proprietario, la comunità di utilizzatori ha ben presto hackerato la scheda, dando vita a numerose copie e plagi, condividendo i metodi e le risorse per proseguire e propagare la sperimentazione di nuovi modelli e tecniche nello spirito delle community on line.
Gli inventori e proprietari, un laboratorio di Ivrea, non si sono opposti alla manipolazione della loro creatura e questo probabilmente ne ha decretato il successo e la definitiva consacrazione.
Le applicazioni sono infinite: dall’uso domestico, agli scopi professionali, alle iniziative no profit, alla fabbricazione industriale, ecc. Molte di queste nascono dall’interazione fra discipline distinte, dando vita a nuove pratiche ibride. Vediamo i principali:
Prototipi d'arredo ottenuti con la stampa a filamento esposti al Fuori Salone 2019 a Milano
Automobili interamente stampate in 3D, visione futuristica o realtà?
Per poter fabbricare digitalmente è necessario produrre innanzitutto un modello 3D digitale. Questo può essere ottenuto tramite:
Nella seconda parte dell’articolo vedremo come il BIM interagisce con altre discipline dando vita a geometrie complesse ottimizzate per la loro realizzazione.
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