Qualsiasi valutazione sul BIM rischia di rimanere un esercizio teorico se non ci confrontiamo con la domanda fondamentale: “Sì, ma quanto mi costa?”
Stimare il costo del BIM per lo studio è solo apparentemente semplice. In teoria è sufficiente sommare i costi dell’acquisto e manutenzione del software e dei corsi di formazione; ma queste sono solo le spese vive e non tengono in considerazione i costi impliciti e la variabile tempo.
I costi preventivabili sono diversi in base all’utilizzo del BIM, e quindi variano da studio a studio. Bisogna porre molta attenzione alle proprie reali esigenze perché, il BIM è una metodologia ampia e articolata ed è facile disperdere le proprie energie inseguendo la chimera di un sistema totalizzante.
Inoltre, i benefici non sono egualmente ripartiti: ogni figura percepirà vantaggi diversi in fasi distinte del processo. Nello schema qui sotto sono riportati i costi ripartiti per fasi e per soggetto coinvolto.
Una volta individuato il costo totale, per stabilire se un prezzo è più o meno sostenibile dobbiamo confrontarlo con i benefici attesi: se il risparmio atteso è elevato, anche una spesa cospicua costituisce un buon investimento. Dobbiamo quindi valutare i tempi di ritorno dell’investimento (R.O.I.) e comprendere se quell’investimento è conveniente ma anche sostenibile nel tempo.
Le spese per avviare il processo BIM sono essenzialmente di tre tipi: Software, Hardware e Formazione. Vediamo quali implicazioni comporta ogni voce di spesa e come orientarci rispetto all’obiettivo.
La prima voce da mettere a bilancio è l’acquisto del software. Prima ancora di considerare le sue caratteristiche e il suo costo bisogna fare un’attenta valutazione delle proprie esigenze.
Il BIM non è una disciplina uguale per tutti; anzi, ogni attore del processo ha un proprio posto e ruolo nel meccanismo generale. Non bisogna pensare di “dover far tutto” ma che ognuno “faccia il suo. Sembra una precisazione superflua, se non fosse che questa visione gode ancora di un certo favore: al termine di un convegno sul BIM, un utente, evidentemente frastornato dalla quantità di funzionalità mostrate, chiese con piglio provocatorio:
“Ma dobbiamo fare tutto questo? Dobbiamo acquistare tutti questi software?”.
Altra opinione diffusa è che “il vero BIM” possa compiersi solo a determinate condizioni, quando ad esempio abbiamo acquisito un software per ogni funzione richiesta. Non credo esista qualcosa di simile a un “vero BIM”: ognuno costruisce piuttosto il proprio, dove non conta tanto il tecnicismo ad ogni costo, quanto la capacità di adattare il metodo alla propria realtà ed esigenze.
A tal proposito, il concetto di BIG BIM, little bim sviluppato da Finith Jernigan, di cui abbiamo parlato nell'articolo "BIM per le piccole opere", vi aiuterà a trovare la vostra collocazione nel variegato mondo del BIM.
Il software è il principale strumento di lavoro che, se ben calato nello studio, userete per la maggior parte delle vostre attività, da mattina a sera, 5 giorni a settimana. Come vostro strumento principale va spremuto fino all’ultima goccia, usandolo per tutte le funzioni che mette a disposizione per aiutarvi nel lavoro quotidiano. I ragazzi che escono dall’Università tendono a usare un software per ogni funzione: uno per le piante, un altro per il modello 3D, un altro ancora per il render, uno per l’impaginazione, ecc. Viceversa, un uso corretto del software vi porterà a dare continuità fra le diverse fasi di lavoro, con grande risparmio di tempo e denaro.
Un software di progettazione è un bene che al momento dell’acquisto non conosciamo. Se compriamo un’automobile, siamo in grado di utilizzarla appena usciti dal concessionario. Il software è invece uno dei prodotti umani più complessi e astratti. Ogni software è poi diverso dagli altri, anche se della stessa tipologia. Perciò la formazione è fondamentale: i percorsi da autodidatti, possibili purché si abbia una certa predisposizione, sono più lunghi e rischiano di lasciare uno strascico di vizi difficile da sradicare successivamente.
La formazione nel BIM è imprescindibile, mentre così non era con il CAD: per il titolare dello studio non è mai stato un problema reperire collaboratori che sapessero usare il CAD, e le Università non si sono mai poste il problema di formare al suo utilizzo. Fino a pochi anni fa la formazione sui software (ma anche in generale) non era un onere da prendere in considerazione. L’introduzione della formazione obbligatoria è stata accolta da molti come un ulteriore onere più che come opportunità di crescita. In fondo, il CAD altro non è che la trasposizione elettronica del tecnigrafo e quindi non ha implicato un cambiamento nel sistema di produzione degli elaborati.
Ma se è vero che la conoscenza del CAD è sempre stata una risorsa garantita e di facile reperibilità, è anche vero che il suo livello era (ed è) piuttosto basso. L'impiego del CAD presuppone un'impostazione del lavoro diversa rispetto al lavoro al tecnigrafo, ma in pochi hanno seriamente preso in considerazione questo aspetto: ciò ha comportato una pressoché totale mancanza di standard e procedure di lavoro, e quindi un abbassamento della qualità e un enorme spreco di ore di lavoro.
Nel mondo anglosassone la figura del CAD Manager esiste già da anni e la cultura degli standard è già diffusa: procedure di nominazione dei file, gestione dei layer, utilizzo dei sistemi di classificazione, ecc. Da noi la formazione sul BIM fornisce l’occasione di incorporare nuove competenze che dovrebbero essere un patrimonio già acquisito.
Con la formazione stiamo pagando buona parte dell’arretratezza accumulata in questi decenni di transizione dal CAD al BIM. Ora che le Università cominciano ad attrezzarsi e che i Master sul BIM proliferano, in futuro sarà più facile reperire collaboratori già formati, che anzi porteranno il loro contributo all’interno dello studio.
Ora che abbiamo puntualizzato alcuni concetti circa i valori impliciti dell’investimento, procediamo con la valutazione per calcolare il R.O.I. e capire se passare al BIM conviene allo studio.
Le analisi costi-benefici nel BIM non sono molto comuni perché non sono semplici da condurre, considerato il gran numero di variabili coinvolte. Citiamo due studi piuttosto corposi sull’argomento: “Cost Analysis of Inadequate Interoperability in the U.S. Capital Facilities Industry” sviluppato nel 2004 dal NIST (National Institute of Standards and Technology) e “BIM Livel2 Benefit Measurement”, condotto nel 2018 da PWC (PriceWaterhouseCoppers, società multinazionale di consulenza aziendale). Entrambi però valutano i benefici del BIM nel loro complesso, senza estrapolare i dati relativi al settore degli studi di progettazione, e si riferiscono a realtà estere con le quali non è semplice fare un raffronto.
Interessante è invece la distinzione fra i benefici dello studio dai benefici della commessa che fa Mattia Mangia nella sua tesi di laurea del 2019, “Analisi costi-benefici del Building Information Modeling (BIM) mediante casi studio e simulazione”. Con il supporto di uno studio di progettazione che opera sul territorio italiano, Mangia è riuscito a stimare il risparmio di tempo grazie al contributo del BIM: nel caso considerato il tempo totale è passato da 7 a 4 settimane di lavoro, con un risparmio di 96 ore di lavoro su un totale di 280.
I risparmi sono distribuiti in diverse voci:
Le prime due voci sono direttamente riferibili all’attività dello studio, mentre la terza e la quarta riguardano principalmente la fase di costruzione. Perciò per queste ultime è più difficile quantificare la quota parte di risparmio di cui usufruisce lo Studio rispetto al beneficio prodotto, a vantaggio però di altre figure.
In pratica, mentre lo Studio cerca di risparmiare sui tempi di gestione e coordinamento del progetto, sta facendo risparmiare l’impresa e il committente. Ciò significa che l’attivazione delle sinergie tipiche del BIM innesca un ciclo virtuoso dove, come insegna la teoria della GESTALT, l’insieme è maggiore della somma delle sue parti.
Il risparmio di 96 ore sul totale di 280 rappresenta una percentuale del 34%: è una stima da prendere con le dovute cautele, perché le variabili sono tante e tali da non permettere di generalizzare il dato. Diciamo però che chi ha un minimo di esperienza nel campo può facilmente condividere questa percentuale di massima.
Questo è il dato relativo a una condizione ideale: nella realtà intervengono diversi fattori che possiamo mettere a sistema come dei coefficienti di riduzione dell’efficienza totale: ad esempio, una iniziale riduzione della produttività è sicuramente da mettere in conto.
Nella sua tesi, Mangia sottolinea giustamente che la produttività del sistema dipende dal livello di utilizzo del software. Possiamo quindi considerare che l’efficienza del processo è un fattore destinato a crescere nel tempo insieme all’esperienza acquisita.
Ciò significa che l’analisi deve essere condotta in una prospettiva a breve e a lungo termine: l’inizio del processo di implementazione è la fase più delicata, tanto che è ancora in dubbio l'effettiva acquisizione del metodo per un possibile rigetto verso il nuovo. Su questa fase devono quindi concentrarsi le attenzioni maggiori rispetto a un’analisi a più lungo termine, che ci restituirà con molta probabilità dei risultati più lusinghieri.
Sul lungo periodo, quando cioè la maturità BIM permette di operare in condizioni ottimali, secondo Mangia i risparmi incidono per un 30% sul totale delle lavorazioni (a favore essenzialmente del committente che sovrintende l’intero processo) fino a un ottimistico risparmio del 50% riguardo le sole fasi di progettazione; in questo dato dobbiamo però comprendere i risparmi relativi anche alle fasi di gestione e coordinamento non considerati precedentemente.
La formazione è il principale fattore in grado di influenzare l’acquisizione del metodo BIM. Mangia utilizza dei coefficienti per indicare le due situazioni limite:
Dalla formula qui riportata notiamo che il guadagno derivato dall’investimento è funzione del costo/qualità del software e della massima qualità ottenibile dalla formazione.
Diciamo quindi che abbiamo cominciato a lavorare in BIM in condizioni prossime a quelle ideali, godendo di quel 34% di risparmi. Ma il risparmio di ore lavorate non si può scindere dal resto delle attività dello studio: una settimana di lavoro in meno significa meno costi orari ma anche meno attività e costi accessori: segreteria, telefonate, stampe, riunioni, ecc. Questi costi minori possono essere quantificati in 1.000€ alla settimana che vanno sommati al risparmio precedentemente evidenziato.
Il risparmio totale, seppur limitato alla riduzione di ore lavorate, è quindi la sommatoria delle ore risparmiate per il costo orario dei collaboratori ai quali dobbiamo applicare un coefficiente del 30% in più di spese generali. Nel caso citato nella tesi abbiamo:
N° ore risparmiate x (costo orario + 30%) + risparmi sulla gestione dello studio x n° settimane.
96 x (15,00 € /h + 4,5€ ) + 3 x 1.000,00 € = 4.872,00 €
A questo punto è sufficiente sottrarre alle spese sostenute il valore del risparmio, in teoria. Ma bisogna valutare la variabile tempo per capire quando si verificherà il rientro dell’investimento, cioè quando la spesa effettuata verrà ripagata dagli incassi ottenuti in seguito. Parliamo di Break Event Point (BEP), il punto di pareggio.
A parità di fatturato, il rientro si valuta con la seguente formula:
BEP = COSTI FISSI / COMPENSO – SPESE VARIABILI
dove con Costi Fissi intendiamo le spese per i software e la formazione, mentre i ricavi sono gli stessi del periodo pre BIM. Le spese variabili sono in questo caso trascurabili.
La retta dei ricavi è più o meno ripida a seconda del grado di maturità BIM raggiunto: pur considerando invariato il fatturato rispetto alla situazione pre-BIM, i ricavi aumentano per via dei risparmi ottenuti e per i minori tempi necessari allo sviluppo dei progetti.
Si tratta ovviamente di valori da prendere con le pinze, ma che possiamo assumere come riferimento iniziale. Un “tempo” di 3 progetti è un lasso ragionevole che permette di imparare, fissare le nozioni e sviluppare infine il progetto in totale autonomia.
Non intendiamo fornire nel poco spazio di un articolo gli strumenti per condurre un’analisi che, come visto, non è semplice. Invitiamo invece a prendere in considerazione i vari fattori che incidono sul processo: ognuno potrà quindi provare a calcolare i propri tempi di ritorno.
Come suggerisce il grafico qui sopra, è auspicabile affrontare le fasi di investimento, training e implementazione in modo deciso, anche se questo può comportare maggiori costi iniziali (spostando conseguentemente il punto di pareggio più in là nel tempo).
Finora abbiamo considerato il BIM come fonte di risparmio tramite la riduzione delle ore lavorate e l’anticipazione di conflitti ed errori, considerando i compensi come una quota immutata nel tempo.
Ecco, il BIM può anche rivelarsi fonte di ulteriori guadagni. Innanzitutto perché, di fronte alla rapida diffusione del BIM, è sempre più probabile che vi sia una domanda specifica da parte dei committenti per progetti in BIM. Il caso più emblematico è la partecipazione ai bandi pubblici, dove a partire dal 2029 sarà obbligatorio l’uso del BIM per qualsiasi importo di gara.
Ma il BIM è anche un’opportunità unica per sondare nuove forme di ricavi: rilievo 3D, analisi e simulazioni, rappresentazione di progetto avanzate (AR, VR, ecc), gestione e coordinamento, ecc. sono attività sempre più richieste e che poco a poco possono essere incorporate all’interno dello Studio.