Articolo realizzato da Michele Carradori, direttore di BIS-lab®, laboratorio di ricerca del Gruppo Contec, per GRAPHISOFT Italia.
L’evoluzione digitale che a gran voce si invoca per il comparto delle costruzioni viene spesso - e comprensibilmente – ricondotta all’acronimo BIM. Tale consuetudine rischia però di far coincidere questa necessità di rinnovamento con il solo aspetto della modellazione informativa, aspetto centrale dell’originale significato attribuito a BIM (Building Information Modeling, appunto).
In realtà, l’efficientamento dei processi nell’industria delle costruzioni attraverso il digitale non può non passare da una digitalizzazione della modalità di comunicazione e dei processi decisionali, che oggi, in larga parte, vengono sì condotti attraverso strumenti digitali, ma con metodi ancora fortemente analogici.
In questo senso, l’utilizzo di strumenti quali i Common Data Environment (CDE) o Ambienti di Condivisione dei Dati (ACDat, UNI 11337) riveste un ruolo fondamentale nel percorso di trasformazione a cui il processo edilizio è chiamato.
Peraltro, è significativo riscontrare come il DM 560/2017, pur nella generalità che inevitabilmente lo contraddistingue e senza fare riferimento alla norma tecnica volontaria, menzioni in maniera esplicita l’Ambiente di Condivisione dei Dati, includendolo fra gli obblighi posti progressivamente in capo alle Stazioni Appaltanti. Si pone dunque una questione concreta, da considerare attentamente in virtù delle possibili implicazioni che, specie nel contesto degli appalti pubblici, un’interpretazione o l’altra possono determinare: cos’è un ACDat? Quali caratteristiche/funzionalità deve avere/garantire per potersi definire tale?
Questo articolo cercherà di delineare un quadro esaustivo sul tema, di focalizzarne gli aspetti eminenti, prendendo come riferimento primariamente la norma giuridica italiana ed in secondo luogo le norme tecniche volontarie italiana ed internazionale.
DM 560 |
UNI 11337-1 |
UNI EN ISO 19650-1 |
un ambiente digitale di raccolta organizzata e condivisione dei dati relativi ad un'opera e strutturati in informazioni relative a modelli ed elaborati digitali prevalentemente riconducibili ad essi. | ambiente di raccolta organizzata e condivisione dei dati relativi a modelli ed elaborati digitali, riferiti ad una singola opera o ad un singolo complesso di opere. | agreed source of information for any given project or asset, for collecting managing and disseminating each information container through a managed process |
La definizione fornita dai tre riferimenti sopra riportati presenta, evidenziate, delle evidenti analogie:
DM 560 |
UNI 11337-1 |
UNI EN ISO 19650-1 |
... Basato su un'infrastruttura informatica la cui condivisione è regolata da precisi sistemi di sicurezza per l'accesso, di tracciabilità e successione storica delle variazioni apportate ai contenuti informativi, di conservazione nel tempo e relativa accessibilità del patrimonio informativo contenuto, di definizione delle responsabilità nell'elaborazione dei contenuti informativi e di tutela della proprietà intellettuale |
I requisiti dell'ACDat sono: |
Il CDE deve: |
Cercando di caratterizzare in maniera più dettagliata il concetto di CDE, è possibile notare come i riferimenti scelti, pur confermando un generale allineamento su alcuni requisiti, introducano ciascuno alcuni elementi peculiari.
Comuni sono, in particolare i requisiti di tracciabilità delle azioni (seppure declinata con sfumature diverse) e della possibilità di discriminare l’accesso alle informazioni secondo regole definibili dall’utente. Su quest’ultimo aspetto, si è ritenuto che il requisito imposto dal D.M. 560 circa la presenza di sistemi di “definizione delle responsabilità nell’elaborazione dei contenuti informativi” debba essere correlato al tema della regolamentazione degli accessi, dal momento che la definizione delle responsabilità all’interno di un CDE si concretizza anche per mezzo dell’attribuzione di particolari permessi d’accesso e di elaborazione dei contenuti informativi.
La norma tecnica italiana e quella nazionale, inoltre, condividono il requisito relativo alla possibilità di caratterizzare i contenuti informativi relativamente al loro stato di sviluppo.
I riferimenti giuridico e tecnico italiani presentano, inoltre, ulteriori analogie:
Questo ci porta quindi a delle riflessioni sulle differenze tra le tre norme:
DM 560 |
UNI 11337-1 |
art. 4, c. 2 - I flussi informativi che riguardano la Stazione Appaltante e il relativo procedimento si svolgono all'interno di un ACDat, dove avviene la gestione digitale dei processi informativi, esplicitata attraverso un processo di correlazione e di ottimizzazione tra i flussi informativi digitalizzati ed i processi decisionali che riguardano il singolo procedimento. art. 7, c. 5 - [...] I contenuti informativi devono, comunque, essere relazionati al modello elettronico all'interno dell'Ambiente di Condivisione dei Dati. |
Obiettivi e vantaggi ottenibili adottando un ACDat sono: |
Sul tema delle finalità per cui un CDE dovrebbe (deve, nel caso degli appalti pubblici ricadenti nell’obbligatorietà imposta dal Decreto) essere implementato, il D.M. 560 individua nel CDE il “luogo” nel quale avvengono i flussi informativi che devono essere correlati ai processi decisionali. Questo aspetto si ritiene sia dirimente nel guidare la scelta di una soluzione software atta a fungere da CDE e nella sua successiva implementazione, in quanto richiede al CDE di svolgere il ruolo di strumento operativo e funzionale al procedere delle attività, piuttosto che di passivo contenitore di file e informazioni.
Il Decreto, inoltre, pone in campo la questione della relazione fra i contenuti informativi ospitati dal CDE, delineando uno scenario secondo cui i diversi contenuti condivisi debbano poter essere pertinentemente relazionati al/i database BIM. Il testo del Decreto non specifica la granularità secondo cui queste relazioni debbano poter essere definite; tuttavia, parlando di BIM, si ritiene che queste debbano poter avvenire a livello di singolo oggetto (inteso in tutta la variabilità che il termine assume quando si parla di modelli informativi), al fine di massimizzare l’efficienza che l’utilizzo di modelli ad oggetti permette di ottenere.
Gli obiettivi dichiarati dalla norma UNI 11337-5 sono invece strettamente correlati ai requisiti di un CDE. Fra gli aspetti che la norma individua, quello della “automazione del coordinamento”, è un concetto che rischia di determinare interpretazioni difformi. In altri termini, andrebbe compresa qual è l’entità di questa automazione, per capire se si intenda chiamare in causa tool specifici o se si stia semplicemente facendo riferimento ai benefici derivanti da una più efficace condivisione dei contenuti.
Il riferimento al tema della comunicazione attraverso moduli ed interfacce, inoltre, sembra decisamente imporre un requisito ulteriore rispetto a quelli espressi nella sezione precedentemente riportata.
All’interno del processo, quale attore deve occuparsi della messa a disposizione del CDE? Da un punto di vista logico, la risposta sembra abbastanza scontata e le norme tecniche UNI 11337-5 e ISO 19650-2 trattano la questione chiaramente:
UNI 11337-1 |
UNI EN ISO 19650-1 |
L'ACDat è preferibilmente posto in capo al Commitente, il quale può curarne la gestione direttamente o delegarla ad un soggetto esterno appositamente incaricato |
Information management process throughout the delivery phase for each appointment: |
Il D.M. 560/2017, invece, su questo aspetto non si esprime esplicitamente. L’unico riferimento giuridico sull’argomento, peraltro coerente con l’indirizzo delle norme tecniche, è arrivato dalle Linee Guida ANAC, mai però ufficialmente pubblicate.
Il tema di come gestire operativamente i contenuti informativi di un CDE rispetto ai processi decisionali non è trattato dal D.M. 560/2017 che, come è già stato sottolineato, si limita a richiedere che questo venga assicurato. La norma ISO 19650-1, invece, riproponendo i contenuti delle norme inglesi BS 1192 e PAS 1192-2, consiglia la nota organizzazione a quattro aree (Work in progress, Shared, Publish, Archive), attraverso le quali i contenuti si “muovono” in virtù dell’esito di processi decisionali.
La norma UNI 11337-5 non propone una struttura analoga dal punto di vista formale, ma sostanzialmente i quattro di Stati di Lavorazione che introduce (L0 = in fase di elaborazione/aggiornamento, L1 = in fase di condivisione, L2 = in fase di pubblicazione, L3 = archiviato) obbediscono allo stesso principio.
In aggiunta, la norma ISO 19650-1 specifica che l’utilizzo ammesso e la revisione dei contenuti informativi condivisi nell’ACDat debba avvenire attraverso l’utilizzo di metadati la cui modifica deve avvenire come esito di processi di autorizzazione e approvazione.
Le norme non specificano, tuttavia, come debbano essere gestite operativamente le aree/stati in cui il CDE può essere logicamente suddiviso, se, ad esempio, attraverso metadati o cartelle, lasciando un certo margine d’azione agli utenti e agli sviluppatori di CDE.
La sensazione è che oggi queste tematiche, meno attinenti al fatto tecnico, non siano ancora debitamente considerate, specie da chi è chiamato ad esprimere dei requisiti relativi alla scelta di un CDE. In questo senso, si sottolinea come la norma UNI 11337-6, Linee Guida per la redazione del Capitolato Informativo, riporti una lista di norme tecniche – a cui il D.M. 560/2017 non fa riferimento – che il Committente può richiamare, nella fattispecie, in tema di sicurezza.
In ambito di appalti pubblici, invece, in questo discorso rientrerebbe il tema della qualificazione AgID per i soggetti pubblici e privati che intendono fornire infrastrutture e servizi Cloud alla Pubblica amministrazione, fra i quali i CDE certamente rientrano.
Nel mercato estremamente eterogeneo delle soluzioni software che si candidano a fungere da CDE, sarebbe dunque utile una precisazione delle caratteristiche anche rispetto a queste tematiche, al fine dare la giusta importanza ad aspetti che, se trascurati, rischiano di far incorrere in pesanti inefficienze o conseguenze legali.
L’utilizzo operativo di CDE, specie nell’ambito di commesse pubbliche ed in un contesto dove spesso la vita del CDE è correlata a doppio filo con quella delle fasi di progettazione e realizzazione dell’opera, fa sorgere alcuni spunti di riflessione che potrebbero risultare determinanti per un utilizzo totalizzante di questo strumento. Fra questi, si sottolineano i temi di:
L’analisi proposta in questo contributo porta ad affermare che non vi sia una definizione univoca e dettagliata delle caratteristiche che un CDE deve avere per potersi definire tale. Al di là delle caratteristiche di base evidenziate nella trattazione, vi sono infatti aspetti su cui i riferimenti considerati lasciano un certo spazio di manovra:
Le peculiarità che invece meritano di essere sottolineate, e che determinano la differenza fra un CDE e quello che potrebbe essere un più semplice Document Management System (DMS), sono gli aspetti di correlazione fra flussi informativi e processi decisionali e fra i diversi contenuti informativi scambiati attraverso il CDE. La mancata considerazione di questi requisiti rischia di fare del Common Data Environment un semplice ambiente di condivisione di file.