Il termine open source sfugge a una definizione unica perché ha assunto più connotazioni, tanto da essere avvertito oggi più come un approccio “filosofico” alla conoscenza digitale che soltanto come un tipo di software. In questo articolo vediamo come negli anni open source e BIM sono evoluti e si sono incontrati in una inevitabile unione d'intenti.
Con open source indichiamo un software di cui i detentori favoriscono la distribuzione e modifica del codice sorgente. È un fenomeno che nasce in concomitanza con lo sviluppo dell’informatica odierna e la nascita di Internet, e può quindi considerarsi uno dei modelli che hanno accompagnato i primi passi della cultura digitale di massa.
Le prime prove di licenze libere si hanno negli anni '80 con la creazione, da parte di Richard Stallman del MIT, del sistema operativo GNU, simile per molti versi a UNIX e di cui voleva rappresentare l’alternativa libera.
Nel 1985 nasce la FSF (Free Software Foundation), che riunisce diversi programmatori e informatici che rifiutano spesso lavori importanti e ben remunerati presso le grandi SoftwareHouse.
«L'obiettivo principale di GNU era essere software libero. Anche se GNU non avesse avuto alcun vantaggio tecnico su UNIX, avrebbe avuto sia un vantaggio sociale, permettendo agli utenti di cooperare, sia un vantaggio etico, rispettando la loro libertà.»
Erano diverse le limitazioni a frenare lo sviluppo di GNU, non ultima la difficoltà a trasferirlo su piattaforme hardware più diffuse come gli Intel 386, i primi PC ad ampia diffusione. È grazie a Linus Torvalds, uno studente finlandese che negli anni '90 riscrisse completamente il codice, che possono dirsi infine superati i limiti nei confronti di UNIX. La nascente creatura di Torvalds raccolse immediatamente il favore della comunità di programmatori grazie soprattutto all’utilizzo dell’Internet dei primordi (erano stati da poco rilasciati i protocolli http): Torvalds decise infatti di distribuire liberamente il codice tramite internet per ragioni etiche ma anche, e forse soprattutto, per reperire quelle risorse necessarie al completamento del kernel, il nocciolo del Sistema Operativo. Nacque LINUX, un tributo al nome del suo ideatore e, ironia della sorte, un quasi anagramma di UNIX, da cui quella generazione di programmatori prese le mosse. Grazie a Torvalds nacquero, insieme al codice aperto, anche nuovi modelli di business e ricerca basati sulla condivisione. Ancora oggi LINUX è il sistema operativo più utilizzato per l’amministrazione di reti e server.
Nell'intervista qui sotto (sottotitoli anche in italiano) Torvalds chiarisce la sua idea di lavoro condiviso. Quando l'intervistatore gli chiede se non si senta in credito nei confronti di chi ha semplicemente colto i frutti del suo lavoro, Torvalds risponde di aver sì dato il contribuito principale, ma che la rete ha svolto tutto il "lavoro sporco" che lui non era in grado di sviluppare.
Oggi consideriamo open source non soltanto un software il cui codice è mantenuto aperto, ma anche la modalità di libera circolazione della conoscenza e delle sue manifestazioni, di cui Wikipedia (l’Enciclopedia libera) è un esempio emblematico: nonostante i contenuti siano interamente e liberamente caricati dagli utenti, i quali operano essi stessi il lavoro di revisione e verifica, la sua affidabilità è, stando a uno studio condotto dal The Journal Nature del 2005, pari a quella della blasonata Encyclopedia Britannica.
Dalla filosofia open source sono nate diverse iniziative, quali il CopyLeft, la General Public License e i Creative Commons, in opposizione al crescente accentramento di dati ad opera dei grandi colossi dell’informazione digitale.
Possiamo rileggere la storia dei software e della cultura informatica come il risultato di due tendenze contrapposte che, oltre a contrastarsi, in molti casi finiscono ormai per influenzarsi a vicenda. Ad esempio, il sistema operativo Linux si mantiene libero e gratuito ma si rivendono i servizi di distribuzione e assistenza; viceversa, sempre più software house ricorrono al cosiddetto crowdsourcing per incorporare migliorie ai propri prodotti.
Ma cosa ha a che vedere questo con il BIM, la disciplina che nasce proprio insieme a una nuova generazione di software proprietari? Ad oggi solo Blender, software di modellazione 3D totalmente open source, sta approcciando a una logica BIM.
Il primo software BIM è proprio Archicad: vale la pena ripercorrere i suoi primi passi per contestualizzare l’idea di iniziativa privata nel nascente mondo dell’informatica. Mentre nelle Università statunitensi cominciavano a diffondersi spinte libertarie in contrapposizione all’operato dei colossi dell’informatica, nell’Ungheria del 1982, la libera iniziativa privata era una conquista recente. Il giovane ingegnere Gabor Bojar insieme ad alcuni suoi compagni di studi, risolse brillantemente un problema a una centrale termonucleare tramite la simulazione tridimensionale operata al computer.
Sulla scia di questo piccolo ma significativo successo, decisero di investire sullo sviluppo del programma rendendolo disponibile agli architetti, un obiettivo di mercato sicuramente più ampio rispetto ai tecnici nucleari. Durante la fiera di Hannover del 1984 (fra i paesi oltre la cosiddetta cortina di ferro degli anni ’80, l’Ungheria era probabilmente uno dei più aperti), i tecnici della neonata GRAPHISOFT incontrarono i rappresentanti della Apple.
Pare che Steve Jobs si sia tanto entusiasmato del lavoro di Bojar e soci che l’incontro, che inizialmente doveva durare non più di una ventina di minuti, si protrasse per ore. Steve Jobs decise dunque di finanziare il loro lavoro e gli fece dono di un esemplare di Lisa II, il Computer di punta della casa di Cupertino. I governi statunitense e Ungherese non avrebbero mai consentito un tale scambio di tecnologia, così il computer venne smontato, spedito in vari pezzi e rimontato oltre confine. Nasceva RadarCH, antesignano di Archicad.
Il concetto rivoluzionario era che le geometrie solide non fossero definite tramite le coordinate di ogni suo vertice: un semplice muro ha 8 vertici per ognuno dei quali è necessario impostare le tre coordinate nello spazio per un totale di 24 valori da inserire. L’intuizione di Bojar fu invece quella di lavorare per oggetti che contenessero al loro interno tutte le informazioni organizzate in maniera intelligente: l’utente poteva quindi tracciare in pianta il punto iniziale e il punto finale e vedere così materializzarsi il muro in 3D, che poteva essere poi modificato in larghezza, altezza, composizione dei materiali, ecc.
I software BIM non sono propriamente quel che si dice dei software Free, sia nell’accezione di libero (codice libero) che di gratuito, considerato che in inglese il termine free ha questa doppia valenza. Ma quando fra la fine degli anni '90 e i primi 2000 si è capito che il BIM cominciava a diventare una disciplina indipendente si impose la necessità di sviluppare ed adottare degli standard comuni. Il carattere Open cominciò quindi a trasferirsi dal software in sé ai sistemi di interscambio.
Nel 1994 viene costituito un consorzio di 12 imprese per lo sviluppo di un formato di condivisione tra software, l’International Alliance for Interoperability (IAI). Il consorzio crebbe rapidamente e due anni dopo venne rilasciata la prima versione del formato IFC (Industry Foundation Class). Il nuovo formato doveva essere aperto e neutrale e l’impegno collettivo era di sviluppare software che fossero IFC-compatibili. Dal 2005 la International Alliance for Interoperability si costituì come organizzazione non profit con il nome di buildingSMART, ancora oggi attiva a livello mondiale con diversi capitoli nazionali, Italia compresa.
Probabilmente i tempi non erano ancora del tutto maturi per implementare un sistema d’interscambio totalmente aperto e neutrale e il mercato, sia da parte degli utenti alla ricerca di soluzioni di facile utilizzo, sia delle software house (il cui scopo era di costituire piattaforme auto-riferite), ha inizialmente puntato a soluzioni prevalentemente proprietarie. Era ancora molto lontana l’adozione di standard e pratiche di interscambio condivise che solo oggi, dopo la pubblicazione di un apparato normativo internazionale (ISO 91650), possiamo considerare mature dal punto di vista tecnico e procedurale.
Parallelamente allo sviluppo del formato IFC da parte di buildingSMART, assistiamo nel 2012 all’iniziativa di TEKLA, GRAPHISOFT e altri software del gruppo NEMETSCHECK (nel frattempo GRAPHISOFT è stata acquisita da NEMETSCHECK), che insieme alla stessa buildingSMART hanno dato vita alla piattaforma programmatica OpenBIM. L’obiettivo è la promozione di un metodo di lavoro basato sull’impiego di formati neutrali, innanzitutto IFC ma anche Xml, BCF, COBie, ecc. La formalizzazione della piattaforma OpenBIM è significativa di una nuova presa di posizione per la quale il successo del BIM non dipende soltanto dall’impiego di uno veicolo informativo, ma passa anche attraverso l’adozione di metodi e procedure sostenuti e guidati dalla volontà di garantire imparzialità e apertura di processo.
La scelta di una SoftwareHouse come GRAPHISOFT in un momento di forte espansione del mercato degli strumenti BIM è stata, se vogliamo, controcorrente. Mentre altre software house hanno sviluppato più soluzioni per incontrare le esigenze degli utenti, GRAPHISOFT ha mantenuto coerentemente la decisione di sviluppare un unico prodotto, quello maggiormente affine alle proprie caratteristiche e alle proprie origini; d’altra parte ha scommesso con estrema decisione sull’approccio OpenBIM, facendosi promotrice non soltanto del suo prodotto, ma di una vera e propria filosofia di lavoro basata sul principio che l’interoperabilità nel BIM non significhi “fare tutto” ma che “ognuno faccia il proprio”, in una visione plurale oltreché aperta e neutrale.
Al di là del successo commerciale o delle preferenze individuali, l’approccio OpenBIM che in un primo momento sembrava essere penalizzante, dà i suoi frutti in una prospettiva di lungo termine, tanto che oggi possiamo identificare il BIM stesso con l’OpenBIM: ogni norma sul BIM (DLGS 50/2016, DM 560/2018, ISO 19650, ecc) fa riferimento alle piattaforme interoperabili aperte e neutrali. Del resto nessuno contrappone più all’OpenBIM un “ClosedBIM”: al massimo troviamo definizioni quali “BIM Verticale”, che indicano la preferenza per l’utilizzo dei formati proprietari ma che non precludono l’eventuale ricorso ai formati aperti, ed è infatti arduo trovare un software BIM che non sia in grado di dialogare in qualche modo attraverso IFC.
IFC non è l’unico formato condiviso nell’edilizia. I principali sono: IFC, IFCXML, BCF, XML, dxf, PDF/A, .e57, .xyz, ecc. Alcuni di questi sono standard di fatto, nel senso che non nascono con l’intenzione di creare un formato di condivisione ma che per la loro ampia diffusione sono riconosciuti come tali. Altri invece nascono con un obiettivo preciso, solitamente per risolvere problemi legati alla limitazione della diffusione delle informazioni. È il caso del formato XML, eXtensible Mark-up Language, nato ufficialmente nel 1998 per opera del W3C (World Web Consortium) per fornire una valida alternativa ai protocolli HTML all’epoca oggetto di restrizioni da parte dei browser Microsoft Internet Explorer e Netscape.
Le potenzialità del linguaggio travalicarono la sola definizione delle specifiche web e XML cominciò a imporsi come un metalinguaggio usato per creare nuovi linguaggi, grazie alla possibilità infinita di generare nuovi tag laddove il codice HTML può contare soltanto su un numero predefinito. Oggi è un linguaggio molto usato e diffuso per la gestione dei database e la scrittura di applicazioni, ed è alla base della compilazione di ipertesti: le suite Microsoft Office, Open Office e Libra Office utilizzano infatti xml per la scrittura dei file.
La sua capacità di essere declinato in diversi contesti ha dato origine a formati quali Landxml e Cityxml, nati come riferimenti nel mondo delle infrastrutture e dell’urbanistica. Il limite di questi formati è la dimensione eccessiva dei file che stronca sul nascere, almeno per il momento, la volontà di approfondirne lo sviluppo.
Un formato che invece gode di ottima salute è GbXml (Green Building Xml) per l’analisi energetica. Richard Petrie, CEO di buildingSMART, ha dichiarato di voler fare di della. sua organizzazione “quel che è stato W3C per il mondo del web”. Ma i punti di contatto fra buildingSMART e W3C non sono soltanto occasionali, e sono attive diverse collaborazioni per la definizione, ad esempio, del formato IfcOwl (IFC Web Ontology Language), grazie al quale è possibile collegare gli oggetti IFC alla semantica del web e ad elementi di ricerca avanzata.
Sta inoltre imponendosi l’uso dei MvdXML (ModelViewDefinition XML), gli schemi IFC di riferimento per l’automazione delle verifiche: l’utente non dovrà far altro che caricare il file IFC e l’applicazione restituirà il numero di dati mancanti o errati rispetto allo schema di riferimento generato dalla committenza.
BuildingSMART collabora anche con l’OGC (Open GeoSpatial Consortium) per definire dei punti di contatto fra i mondi BIM e GIS.
A proposito di GIS, non è possibile non citare QGIS, il software per la gestione territoriale e urbana. Non possiamo nemmeno dimenticare CLOUD COMPARE per la gestione della nuvola di punti, The GIMP per il ritocco fotografico o il già citato BLENDER per la modellazione e renderizzazione, solo per citare alcuni dei software impiegati nel mondo della grafica e del design. Dietro allo sviluppo di ognuno di questi software ci sono dei team di programmatori, ma è fondamentale il ruolo delle comunità che li sostengono, sia finanziariamente che attraverso il loro contributo intellettuale e materiale.
Per quanto riguarda il BIM, esiste un gran numero di visualizzatori gratuiti di cui alcuni sono gratuiti seppur sviluppati da aziende commerciali e altri sono invece OPENSOURCE veri e propri.
Esistono anche applicazioni avanzate quali BIMSERVER, una soluzione di Common Data Environment e OPENMAINT per il Facility e Asset Management.
Va però detto che le soluzioni open source necessitano in alcuni casi di un servizio di consulenza e assistenza (la cosiddetta distribuzione) che metta l'utente nelle condizioni di poterla utilizzare, considerato che in certi frangenti la stessa installazione può risultare complicata.
EnergyPlus è ad esempio un software multipiattaforma per l'analisi energetica dinamica. Sebbene sia uno strumento considerato fra i più affidabili nel suo campo, il suo utilizzo da solo è praticamente riservato agli esperti del settore, perché non è dotato di interfaccia grafica. È possibile avvalersi di una suite di strumenti anch'essi open source come OPENSTUDIO, oppure utilizzare una soluzione commerciale quale DESIGNBUILDER, che utilizzano entrambe EnergyPlus come motore di calcolo.
Abbiamo considerato due diversi approcci open: l’open source vero e proprio e l’opera di standardizzazione da parte di organizzazioni non profit per definire i formati aperti interoperabili. Esiste un terzo approccio che è quello delle comunità online che operano nel mercato (e non più nel mondo accademico) per proporre soluzioni commerciali, per ottenere visibilità o anche soltanto per gratificazione personale.
Una delle più nutrite comunità nel mondo del design gravita intorno a Grasshopper, l’applicativo di Rhinoceros McNeel per la progettazione algoritmica. Grasshopper è un plug-in totalmente gratuito (Rhino invece è a pagamento) anche se non possiamo considerarlo un applicativo open source in senso stretto poiché il suo codice non è aperto.
Grasshopper nasce nel 2007 (si chiamava Explicit History) ad opera di David Rutten, un giovane architetto austriaco impiegato presso McNeel Associates. Si tratta di un software di programmazione visuale, dove anziché scrivere righe e righe di codice è sufficiente collegare fra loro dei blocchi di comando per ottenere geometrie parametriche anche estremamente complesse, che possono dar vita a infinite possibili configurazioni.
Sin dalla sua prima apparizione, Grasshopper ha saputo radunare una comunità online costituita inizialmente da pochi pionieri della progettazione algoritmica, fino a divenire una moltitudine in continua crescita ed evoluzione, sia in termini numerici che come capacità di interazione. Lo stesso Rutten aveva bene in mente questo obiettivo:
«Ho progettato sin dall’inizio Grasshopper con la premessa di renderlo completamente aperto agli sviluppatori di terze parti (io stesso creo molti componenti fingendo di essere uno sviluppatore di terze parti, proprio per verificarne il successo).»
La ragione appare evidente: rispetto allo sviluppo di soluzioni commerciali che possono contare sulla disponibilità di risorse finanziarie più o meno ampie, Grasshopper può contare sull'energia creativa della massa; in questo modo «possiamo rivolgerci a differenti gruppi di utenti e spendere energie per migliorare i nostri prodotti invece di farci battaglia tutto il tempo.»
La pagina Food4rhino è il luogo virtuale attorno a cui si “incontra” la comunità e dove è possibile trovare migliaia di applicativi per lo più gratuiti o a basso costo. Rispetto allo spirito OpenSource degli anni ’80, non ci sono manifesti o proclami, ma è comunque riconoscibile l’eredità di quei tempi, così come un forte senso di appartenenza e condivisione.
Il carattere giocoso della comunità (la quasi totalità degli applicativi di Grasshopper prende il nome di animali) non deve trarre in inganno: non stiamo parlando di piccoli plug-in, ma in molti casi di soluzioni d’eccellenza impiegate dai più importanti professionisti al mondo per sviluppare alcuni fra gli edifici più significativi.
Fra i vari applicativi citiamo LadyBug, dedicato all’analisi energetico ambientale: rilasciato nel 2013 ad opera di due giovani studenti della Pennsylvania University e del MIT, Mostapha Sadeghipour Roudsari e Chris Mackey, possiamo considerarlo il punto di riferimento assoluto nel loro campo. La versione presente sul portale Food4rhino - che chiunque può scaricare, installare e usare per sempre - è la stessa utilizzata dai più importanti professionisti al mondo, senza nessun tipo di limitazione.
Il loro modello di business è basato sulla GNU General Public License: la fornitura delle licenze è totalmente gratuita (purché vengano rispettate determinate condizioni) mentre il guadagno vivo proviene da servizi di consulenza avanzata. Questo gli garantisce notorietà, diffusione e risorse praticamente illimitate per Ricerca e Sviluppo permanenti: troveranno sempre collaboratori capaci che conoscono già la loro soluzione e che sono in qualsiasi momento in grado di proporre migliorie significative.
Era facile supporre che, date le premesse, il mondo del BIM e della progettazione algoritmica si sarebbero presto incontrate. Esistono diversi plug-in di connessione fra Grasshopper e i software di BIM Authoring che facilitano il trasporto delle entità da una piattaforma a un’altra, ma nel 2016 GRAPHISOFT e McNeel hanno inaugurato una nuova forma di connessione: con la Live Connection non è necessario esportare d importare dei file, perché è possibile eseguire dei comandi di Archidad direttamente in Grasshopper. Inutile dire che questa soluzione è gratuita.
Le potenzialità del Crowdsourcing amplificate dai mezzi della rete sono ormai una risorsa riconosciuta da parte delle principali aziende che operano nel campo delle professioni intellettuali. I software di progettazione non sfuggono a questa tendenza e sempre più software aprono le proprie porte d’accesso, le cosiddette API (Application Programming Interface) agli utenti che possono apportare liberamente delle migliorie. Può succedere che alcune di queste siano incorporate nel programma, riconfigurando in alcuni casi le gerarchie dello sviluppo e della proprietà intellettuale.
L’insieme di questi e altri sviluppi, non ultimo il BIM, devono far supporre che la stessa architettura venga influenzata dallo spirito e dai principi open.
Carlo Ratti, nel suo libro Architettura Open Source, sostiene questa tesi: cambia il modo di progettare e costruire case e città, sostenuto da metodi collaborativi, da idee sviluppate dal basso più che imposte dall’alto.
Il BIM stesso altro non è che una metodologia in cui ogni figura viene coinvolta in un processo maggiormente partecipativo.
Siamo abituati a usufruire di una rete relativamente libera, dando per scontato, ad esempio, l’uso gratuito delle e-mail. Consideriamo il BIM una disciplina unificante, che incorpora continuamente nuove soluzioni provenienti da ogni parte del mondo. Ma tutto ciò non è scontato e nasce invece della volontà di garantire la circolazione dell'informazione, bene primario della società.
Proviamo a immaginare un internet a due velocità, o tanti piccoli BIM confinati dai recinti delle politiche commerciali: senza il contributo dei pionieri dell'open source, qualcuno di noi oggi potrebbe trovarsi nella serie B di Internet, o del BIM.
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