Il blog BIM di Archicad

BIM per le piccole opere: conviene davvero?

Scritto da Hilario Bourg | Jun 25, 2019 2:09:44 PM

Il BIM è comunemente associato alle grandi opere: gli articoli tecnici, i casi studio, le comunicazioni commerciali mostrano prevalentemente casi studio di notevole complessità per così sottolineare il potenziale del metodo. Inoltre, il BIM è un metodo multidisciplinare che abbraccia l’intero ciclo di vita dell’edificio, dall’analisi di fattibilità fino alla dismissione: lo sguardo si allarga, dal focus sulle singole discipline fino ad abbracciare il processo complessivo che ne abbraccia diverse. 

Ciò non significa però che nel BIM si debba “fare tutto” o che solo grandi strutture siano in grado di gestire la complessità dell’insieme.

È necessario comprendere la propria dimensione all’interno del BIM.

GLI STADI DI IMPLEMENTAZIONE DEL BIM

Nel suo celebre “Big BIM, Little BIM” del 2008, Finith Jernigan analizza la dimensione sociale del BIM e distingue i diversi stadi della sua implementazione.
L’autore mette a sistema in una matrice, da un lato la Dimensione del BIM (che dipende dalla maggiore o minore integrazione delle discipline), dall’altro l’Apertura del BIM, che determina un maggiore o minore grado di comunicazione fra i soggetti.

Vengono così individuate 4 diverse aree:

  1. “Piccolo BIM isolato”: utilizzo di un solo strumento di BIM authoring (ARCHICAD, nel nostro caso) da cui ricaviamo gli elaborati di progetto, liste ed abachi, ecc. Tutte le informazioni sono fra loro coordinate ma essenzialmente vengono trasmesse attraverso pubblicazioni e stampe 2D tradizionali.

  2. “Piccolo BIM sociale”: utilizzo di uno strumento di BIM authoring  che comunica con l’impresa o il cliente attraverso altri software per la condivisione del progetto (ad esempio, con il BIMX). La trasmissione digitale sostituisce in tutto o in parte la pubblicazione e stampa tradizionale e con essi i metodi di trasmissione delle informazioni.

  3. “Grande BIM isolato”: approccio multidisciplinare al progetto dove vengono incorporate le diverse dimensioni del BIM (4D per la tempistica e gestione del cantiere, 5D per i costi, 6D per la sostenibilità del progetto, 7D per la gestione del Ciclo di vita). Il lavoro sviluppato viene sempre condiviso attraverso supporto cartaceo, e quindi con metodi, tradizionali.

  4. “Grande BIM sociale”: come il precedente ma la condivisione avviene tramite supporti digitali intelligenti.

 

NO, NON DIPENDE DALLA DIMENSIONE DELL'OPERA

Il principale fraintendimento è quello di considerare come BIM unicamente le realtà che ricadono nell’ultima categoria, mentre anche le precedenti tre hanno una precisa ragione d’essere. Intanto perché esiste una gradualità nell’adozione del BIM e poi perché comunque ogni stadio contiene il precedente ed è quindi presente anche nei successivi.

La piccola opera ricadrà con maggiore probabilità nel primo quadrante della matrice, anche se non è detto che non possa poi svilupparsi anche in quelli ulteriori: una volta che lo studio ha adottato una tecnologia maggiormente avanzata ha tutto il vantaggio nell’utilizzarla con profitto anche in contesti minori.

Ma se l’essere BIM o meno non dipende dalle dimensioni dell’opera né dall’impiego di strumenti specifici, quali sono i fattori che discriminano un progetto dall’essere BIM o meno?

 

COSA VUOL DIRE VERAMENTE ESSERE BIM

Possiamo qui sintetizzarlo in 3 elementi:

  1. Virtualizzazione tridimensionale del costruito tramite l’impiego di oggetti parametrici.
    Gli oggetti devono essere strutturati secondo relazioni specifiche:
    ogni componente nell’edificio ha una identità precisa (muro, solaio, finestra, ecc)? Ha una precisa collocazione nell’ambiente costruito (in che piano si trova?

    È interno o esterno?)


  2. L’edificio virtuale deve essere popolato di informazioni ordinate.
    Identificato il componente, quali informazioni deve necessariamente avere per poter svolgere le proprie funzioni (composizione delle stratigrafie di un muro, requisiti minimi normativi e di progetto degli ambienti, dei materiali, ecc)

  3. È necessario adottare procedure e codifiche di riferimento che mettano in relazione il progetto a una struttura di lavoro.
    Chi è responsabile di un'area di progetto? Sono state eseguite tutte le verifiche? Il progetto risponde effettivamente alle esigenze del committente?

BIM non vuol dire, quindi, utilizzare tutti i più avanzati strumenti informatici, ma significa adottare dei principi generali calzanti con la realtà del progetto.

 

PICCOLE E GRANDI COMMESSE

Nel caso di una grande commessa parleremo di

  1. modello confederato multidisciplinare;
  2. dati provenienti da un ambiente di condivisione di natura digitale;
  3. verrà redatto e condiviso un piano operativo del BIM (il cosiddetto Bim Execution Plan o secondo la normativa italiana il Piano di Gestione Informativa).

Viceversa, in una piccola commessa sarà sufficiente gestire

  1. un singolo modello parametrico;
  2. incorporare manualmente le informazioni;
  3. far riferimento unicamente al sistema di standard e procedure dello studio in relazione alle caratteristiche della commessa.

I concetti applicati sono gli stessi, sono soltanto più o meno articolati a seconda delle risorse che si vogliono mettere in gioco, indipendentemente dalle dimensioni dell'opera. Ricordiamo in proposito che, come diceva il maestro, “è meglio un buon prospetto che una cattiva prospettiva”, è meglio cioè fare un buon “piccolo BIM” che un cattivo “grande BIM”.

 

CONVIENE O NO PER LE PICCOLE OPERE?

Abbiamo appurato quali sono i requisiti minimi del BIM e siamo quindi in grado di identificare gli strumenti necessari in base alle esigenze del progettista e della commessa e non in base ad indicazioni aprioristiche.

La risposta alla domanda iniziale “Il BIM conviene per le piccole opere?” dipende infatti dal rapporto tra fini e mezzi: se gli strumenti sono ridondanti rispetto all’oggetto della progettazione e dobbiamo dotarci di un intero arsenale di software per sviluppare la ristrutturazione di un appartamento, allora sicuramente il gioco non vale la candela.

Ma nel BIM, e in particolare nell’approccio OPEN BIM, accade esattamente il contrario: ci si dota del giusto strumento per ogni situazione.

I software di modellazione BIM sono in grado tendenzialmente di sviluppare in maniera verticale l’intera commessa nei primi due stadi della matrice: dalla produzione degli elaborati grafici, ai render e computazione di liste e abachi, ecc.
Alcune software house optano per sviluppare applicativi diversi o moduli distinti per ogni funzionalità ma ARCHICAD, ad esempio, è in grado di incorporare al suo interno il 90% delle lavorazioni necessarie allo sviluppo del progetto, dove il 10% restante è rappresentato dalla post produzione grafica e dall’uso di strumenti Office.

Utilizzare un unico software per tutte le funzioni di base, anziché diversi software comporta diversi vantaggi:

  1. Meno licenze da acquistare, meno software da imparare ad usare.
  2. Le fasi di lavoro sono interconnesse: maggiore fluidità, minore perdita di dati, tempi di lavorazione più brevi.
  3. Una minor frammentazione delle competenze.

Quest’ultimo aspetto è particolarmente significativo per l’organizzazione stessa del lavoro e le dinamiche interne allo studio: nei processi CAD tradizionali il progetto viene spesso suddiviso, ad esempio, in piante da una parte e prospetti e sezioni da un’altra, ognuna delle quali affidate a operatori diversi. Questa suddivisione non è funzionale agli aspetti progettuali ma nasce sostanzialmente dall’esigenza di ripartire il carico di lavoro fra i collaboratori dello studio in maniera più facilmente gestibile con i mezzi disponibili. In questo modo, però, piante e prospetti sono concettualmente sconnessi perché nascono in momenti e situazioni distinte.


Nel BIM invece uno stesso progettista è in grado di sviluppare l’intero progetto in tutte le sue parti, preservando così l'unitarietà del progetto. Ciò non significa che un edificio di grandi dimensioni debba essere sviluppato necessariamente da un unico soggetto, ma è anzi possibile ed auspicabile ripartire in diverse aree di competenza secondo una logica interna al progetto stesso, ad esempio distinguendo distribuzione interna e modellazione dell’involucro; gli strumenti per operare e gestire questa ripartizione sono molteplici e la tecnologia offre un valido supporto in questo senso. 

Il teamworking è un'esperienza di lavoro unica e rappresenta il livello di condivisione più alta nel BIM: gli utenti hanno la possibilità infatti di lavorare contemporaneamente sullo stesso progetto. 

 

CONVIENE, MA A CHI? E QUANTO?

Dicevamo che la ristrutturazione di un appartamento è perfettamente compatibile con il paradigma del “Piccolo BIM Sociale”: utilizzo di un solo strumento di modellazione e l’adozione al contempo di strumenti per la condivisione del progetto come uno degli innumerevoli software di coordinamento e visualizzazione, molti dei quali sono gratuiti. 

L’utilizzo consapevole di strumenti di condivisione del progetto velocizza la trasmissione degli elaborati e coinvolge anche gli altri operatori nelle dinamiche del BIM: anche i non professionisti, maestranze di cantiere in primis, diventano parte attiva e sinergica dell’insieme.

Maggiore è la dimensione sociale del BIM, indipendentemente dalla dimensione della commessa, maggiori saranno i vantaggi complessivi che agiscono con effetto moltiplicatore su ognuno dei partecipanti. I vantaggi non sono a discapito uno dell’altro ma sono di sistema, una situazione win-win che supera le contrapposizioni fra le parti coinvolte.

Il valore del BIM nasce dagli sforzi combinati dei partecipanti al progetto, aumenta, cioè, con la capacità di condividere le risorse e ripartire più equamente le responsabilità. Nei paradigmi tradizionali assistiamo troppe volte all’accentramento dei ruoli, alla scarsa condivisione delle informazioni e, di pari passo ad un atteggiamento da “scarica barile” che è ormai diventato una consolidata prassi di sistema.

Il BIM per le piccole opere conviene per varie ragioni: ogni professionista, facendosi i conti in tasca, può ben comprendere il risparmio in termini di tempo e quantificare il proprio miglioramento produttivo; ma il vero valore del BIM consiste nel miglioramento generale del lavoro: è un salto qualitativo che offre l’opportunità di cominciare a guardare oltre.